11 MILIONI DI MALATI "NON TRASMISSIBILI" TEMONO CONTAGIO IN OSPEDALE


QUANDO è scoppiata la pandemia, ben 11 milioni di persone che vivono con malattie “non trasmissibili”, quelle oncoematologiche e cardiovascolari che rendono ancora più a rischio i pazienti di sviluppare forme gravi di Coronavirus rispetto alla popolazione sana, fino alla morte hanno preferito non frequentare più gli ospedali per la paura del contagio. Oggi, quegli specialisti che operano proprio su questi pazienti fragili, non trovano posto nella cabina di regia che sta definendo le strategie per affrontare la cosiddetta fase 2. Oncologi, ematologi e cardiologi, in una conferenza stampa virtuale organizzata oggi da Fondazione Insieme contro il Cancro, chiedono alla Istituzioni di considerare le specifiche esigenze dei pazienti colpiti da neoplasie e cardiopatie per definire percorsi specifici.

COME convivere con il virus stiamo imparando. ma dobbiamo imparare anche a gestire le patologie dei malati gravi. “La pandemia causata dal Covid-19 ci ha obbligato a sospendere alcune attività assistenziali tra le meno urgenti e a riformulare percorsi e routine consolidati nella pratica clinica quotidiana – spiega il prof. Francesco Cognetti, Presidente Fondazione Insieme contro il Cancro e Direttore Oncologia Medica Regina Elena di Roma -. In Italia, vivono 3 milioni e 460mila persone dopo la diagnosi di tumore e un milione e 190mila pazienti sono in trattamento attivo. Ogni giorno si stimano circa 1.000 nuovi casi. A breve, si aprirà la fase 2 della pandemia ed è necessario ridisegnare l’intera oncologia. Il paziente colpito da cancro è, per definizione, fragile e le evidenze preliminari pubblicate dai colleghi cinesi confermano un rischio significativamente aumentato di contrarre l’infezione da coronavirus e, in particolare, di sviluppare complicanze spesso letali. Da qui, l’importanza di riavviare i programmi di sorveglianza e ridefinire i piani di trattamento attivo, che dovranno essere disegnati ‘ad hoc’ per ciascun paziente oncologico, bilanciando i potenziali rischi che derivano dalla tossicità dei trattamenti medici e chirurgici e dall’esposizione ambientale legata agli spostamenti e alla frequentazione degli ospedali. Questi pazienti non possono più aspettare, anche perché in alcuni casi stanno subendo danni per sospensioni o ritardi di prestazioni e cure necessarie, anche in relazione alla interruzione forzata degli screening e delle visite di controllo. Servono, quindi, linee di indirizzo, da condividere quanto prima con il Comitato tecnico scientifico della Protezione Civile”.

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