QUANDO torna la bella stagione, riaffiorano i problemi.
Nell’agricoltura, tra i tanti c’è anche quello dell’impatto economico dell’irrigazione.
L’Italia, con 20 miliardi di metri cubi d’acqua annualmente utilizzati in
agricoltura per la produzione di cibo, è tra i Paesi europei, che maggiormente
fanno ricorso all’irrigazione: è seconda in termini di superficie irrigata solo
alla Spagna e quarta in termini di incidenza della superficie irrigata sulla
S.A.U. (Superficie Agricola Utile) dopo Malta, Cipro e Grecia.
COME evitare di dare numeri a caso? Facendo le analisi, come quella svolta con l’Università di Trieste, dove si è
stimato il valore dell’irrigazione a partire dall’effetto prodotto sul valore
dei suoli agrari, considerando una relazione statisticamente significativa fra
il Valore Agricolo Medio (V.A.M.) di una coltura e la possibilità di irrigarla.
Dall’analisi è emerso che il V.A.M. delle colture economicamente più importanti
(seminativo, frutteto, orto, prato) si aggira sui 40.000 euro ad ettaro, con un
massimo al Nord (52.000 euro/ha) ed il minimo al Centro (20.000 euro/ha). La
presenza dell’irrigazione condiziona in modo significativo il valore, introducendo
una differenza fra irriguo e non irriguo pari a 13.500 euro/ha. In termini
percentuali tale differenza è più elevata al Centro-Sud (60-80%) rispetto al
Nord (39%) a causa delle differenze climatiche. “E’ a partire da questi dati –
interviene Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei
Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue
(ANBI) – che stiamo conducendo la nostra battaglia a Bruxelles, attraverso Irrigants
d’Europe, per affermare in sede comunitaria la fondamentale funzione
dell’irrigazione per le agricolture mediterranee, fortemente soggette alla
disponibilità del primo fattore produttivo: l’acqua”.

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