QUANDO la direttiva emanata dal ministero
dal Dipartimento della Funzione Pubblica, a firma della Ministra Fabiana
Dadone, ha spinto sul lavoro agile o smart working per gestire questo momento di emergenza da Coronavirus è stata una vera novità rimanere a casa e svolgere mansioni di ufficio. Ora, stando
ai dati più recenti di Eurostat, i lavoratori dipendenti italiani
potenzialmente occupabili nello smart working (manager e quadri,
professionisti, tecnici e impiegati d’ufficio) sono 8 milioni 359 mila. Se a un
terzo di questi fosse concessa la possibilità di lavorare saltuariamente o
stabilmente in modalità “agile”, si raggiungerebbero i 2 milioni 758 mila.
Questa modalità di lavoro è largamente diffusa in Europa, ma ancora molto poco
in Italia. Sempre secondo tali dati nel 2018 l’11,6% dei lavoratori
europei alle dipendenze d’imprese o organizzazioni pubbliche praticava smart
working, lavorando da casa saltuariamente (8,7%) o stabilmente (2,9%),
grazie alle opportunità messe a disposizione dalle nuove tecnologie.
COME si pone l'Italia rispetto al resto d'Europa? In Italia la percentuale
si ferma al 2% (solo 354 mila
lavoratori dipendenti), risultando non solo la più bassa d’Europa (poco sopra
Cipro e Montenegro), ma anche la più distante da Paesi come Regno Unito
(20,2%), Francia (16,6%) o Germania (8,6%). Per non parlare di quelli del Nord
Europa, dove la quota di lavoratori che possono lavorare da casa anche con
flessibilità oraria sale al 31% in Svezia e Olanda, 27% circa in Islanda e
Lussemburgo, 25% in Danimarca e Finlandia.

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